I fertilizzanti organici restituiscono azoto ai suoli. Ma li usiamo al meglio?

Conoscere i tempi di cessione dell’azoto contenuto nei concimi organici è fondamentale per una corretta gestione agronomica. Determinare la velocità di mineralizzazione aiuta a capire come evitare sprechi e ottimizzare i risultati

di Claudio Ciavatta* e Claudio Marzadori**

 

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La pratica della concimazione è indispensabile per sostenere i fabbisogni di elementi nutritivi delle colture, azoto (N) in primis, per evitare l’impoverimento del suolo e la perdita di fertilità. Oggi, gran parte dell’azoto assorbito dalle piante e inglobato nelle sostanze organiche destinate all’alimentazione umana e animale non ritorna al terreno attraverso i sottoprodotti. I prodotti sono infatti consumati lontano dai luoghi di produzione, anche a diverse migliaia di chilometri.

Le deiezioni (solide e liquide) non sempre ritrovano la corretta via della riutilizzazione in agricoltura, neppure se si tratta, ad esempio, di quelle zootecniche. Oppure, sul versante dei rifiuti urbani, basti pensare ai fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e alle stesse acque di depurazione che trovano difficile collocazione, nonostante la forte richiesta proveniente dall’Unione Europea con il pacchetto dell’economia circolare che spinge verso un maggiore riutilizzo di nutrienti e un impiego più efficiente delle risorse.

Non mandiamo la sostanza organica ai termovalorizzatori

L’uso della sostanza organica (SO) e dei nutrienti per la fertilizzazione dei suoli risponde ai principi basilari dell’ecologia.

Inviare a termovalorizzazione sostanze organiche idonee all’impiego in agricoltura sarebbe commettere un grave errore: invieremmo in atmosfera in un solo colpo i prodotti di ossidazione del carbonio organico, dell’azoto e dello zolfo (sic!). Alla faccia della sostenibilità delle risorse! Assolutamente favorevoli, invece, alla termovalorizzazione di rifiuti, anche a base organica, non idonei all’impiego in agricoltura.

L’azoto è il fattore chiave della produttività agricola. Dopo l’aumento costante dei consumi del secolo scorso, nell’ultimo ventennio nei Paesi con agricolture avanzate è iniziata una costante contrazione dei consumi, grazie a prodotti innovativi, modalità di distribuzione e alla maggiore efficienza delle unità fertilizzanti, anche se su questo versante c’è ancora tanto da lavorare.

Da che cosa dipende il rilascio di azoto nel terreno?

I concimi organici azotati e azoto-fosfatici, specie se solidi, e gli ammendati sono prodotti che contengono azoto organico naturalmente a lento rilascio. Infatti, l’azoto organico può essere utilizzato dalle piante solamente dopo la mineralizzazione che lo trasforma in azoto minerale: ammoniacale (NH4+) prima, nitrico (NO3-) poi. Letami maturi, concimi a base di cuoio e pelli idrolizzati, pennone, polline compostate, panelli, farine di carne e ossa, cornunghia, ammendanti compostati, per citare i maggiori, sono caratterizzati dalla presenza di azoto a lento rilascio. Oltre ai suddetti prodotti, anche le biomasse d’origine agricola, i biosolidi d’origine agro-alimentare, urbana e di origine agroindustriale contengono azoto organico e quindi rappresentano fonti azotate, e non solo, a lento rilascio.

La velocità con cui i diversi prodotti a base organica rilasciano l’azoto minerale nel terreno dipende, essenzialmente, oltre che dalle caratteristiche fisico-chimiche dei prodotti stessi, dall’intensità dell’attività dei microrganismi del terreno che, come noto, traggono l’energia dai processi di mineralizzazione della sostanza organica. I processi microbiologici sono fortemente influenzati dalle condizioni climatiche perchè la temperatura e l’umidità del suolo condizionano la velocità di trasformazione e di mineralizzazione (le condizioni ottimali? 15-30 °C e umidità prossima al 60% della capacità idrica di campo) e di reazione (pH) neutra del terreno.

Pertanto, l’utilizzo di fertilizzanti capaci di modulare il rilascio dell’azoto bioaccessibile / assimilabile (NH4+ e NO3-), in funzione delle esigenze nutritive delle piante è molto importante per la gestione e l’efficienza delle unità fertilizzanti azotate. Di norma, rallentare il rilascio dell’azoto, o più in generale degli elementi nutritivi, verso la fase liquida del suolo con tempi che siano coerenti con le esigenze di assimilazione della pianta rappresenta un obiettivo di rilevante interesse agronomico, perché ne aumenta l’efficienza.

I vantaggi di determinare le curve di mineralizzazione

Una corretta gestione agronomica, pertanto, deve partire dalla conoscenza della tempistica di cessione dell’azoto contenuto nei fertilizzanti organici nel suolo. In quest’ottica la letteratura internazionale riporta lavori a partire dagli anni ’70. A tale fine, già la determinazione del rapporto carbonio:azoto (C:N) può fornire un utile indizio per valutare la propensione del prodotto a cedere azoto (C:N < 20) oppure a immobilizzarlo (C:N > 30).

La mineralizzazione, come atteso, risulta molto differente tra matrice e matrice. Ne consegue che le quantità e modalità d’impiego, nonché i periodi di distribuzione, dovranno essere sensibilmente differenti da prodotto a prodotto. Le curve di mineralizzazione permettono di evidenziare che l’attività dei microrganismi presenti nel terreno determina il rilascio dell’azoto minerale in modo graduale.

Sotto il profilo squisitamente applicativo, la determinazione sperimentale delle curve di mineralizzazione è di grande rilevanza sia in termini agronomici che ambientali perchè permette di:

  • stabilire con sufficiente precisione la tempistica del rilascio dell’azoto minerale in stretta relazione al fertilizzante somministrato e alle condizioni pedo-climatiche dell’area d’impiego;
  • ottimizzare l’impiego agronomico in funzione della specifica coltura;
  • minimizzare i rischi di lisciviazione dei nitrati, sulla base dei punti sopra esposti;
  • scegliere il prodotto più adatto all’areale di coltivazione e alla coltura che s’intende coltivare;
  • preparare prodotti ad hoc per la pianta da coltivare e all’area geografica d’uso;
  • riportare sulla confezione del prodotto posto in commercio, nella sezione dedicata alle modalità d’impiego, informazioni di questa natura (per es. curve di mineralizzazione dell’azoto in condizioni standard).

Questo approccio sperimentale può dare un notevole contributo all’ottimizzazione dell’uso dei fertilizzanti organici nell’interesse dell’utilizzatore, del produttore e dell’ambiente, nel solco della piena sostenibilità delle risorse.

Gli autori
* Claudio Ciavatta

Ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL) dell’Alma Mater Studiorum all’università di Bologna. E’ stato presidente della Società italiana di Chimica Agraria. Studia in particolare gli aspetti chimico-strutturali e biochimici della sostanza organica di suoli, fertilizzanti, di biomasse di riciclo e di rifiuto, e della fertilità del suolo, con particolare riferimento ai cicli dell’azoto e del fosforo. Ha al suo attivo oltre 300 pubblicazioni.

** Claudio Marzadori

Ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna-DISTAL. La sua attività accademica è da sempre incentrata sullo studio dei processi chimici e biochimici che caratterizzano il sistema suolo-pianta. La sua attività didattica lo vede titolare di insegnamenti relativi alla Chimica del Suolo, la Biochimica agraria e la Chimica e Biochimica dell’interazione suolo pianta. Recentemente le sue attività di ricerca sono fortemente orientate alla definizione di strumenti di valutazione della funzionalità dei suoli in rapporto alle loro destinazioni d’uso. Si sta inoltre applicando alle ricerche relative allo sviluppo delle pratiche d’uso e riciclo di biosolidi nei suoli a scopo fertilizzante.

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