Dall’alluminio al suolo. L’Australia scommette sulla bauxite

Un gruppo di ricercatori del Queensland vuole mettere a punto una tecnologia per il trattamento biologico dei residui della bauxite. Una strategia circolare per trasformare i prodotti di scarto in terreno fertile

di Matteo Cavallito

 

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Trasformare i prodotti di scarto della bauxite in un suolo alternativo dove far crescere la vegetazione. È l’obiettivo fissato da alcuni ricercatori australiani impegnati ad elaborare una soluzione circolare all’annoso problema del “fango rosso”, scomodo residuo del settore minerario di difficile smaltimento. L’idea, spiegano gli scienziati del Sustainable Minerals Institute dell’Università del Queensland, consiste nello sviluppare una tecnologia in grado di realizzare sul posto il cosiddetto bioweathering. Ovvero il processo di erosione e frantumazione delle rocce prodotto dai microorganismi e alla base della trasformazione di queste ultime in terreno fertile. L’operazione, ha precisato il portale specializzato Mining.com, è realizzata in collaborazione con il colosso dell’estrazione Rio Tinto e il produttore di metalli Queensland Alumina Limited.

Dalla bauxite al suolo fertile

La bauxite è una roccia sedimentaria caratterizzata dalla presenza di diversi minerali come gibbsite, böhmite e diasporo che altro non sono se non ossidi di alluminio idrato. L’attività estrattiva e di raffinazione del materiale è alla base della produzione dell’alluminio stesso oltre che di abrasivi e cemento. Tale processo, tuttavia, porta alla formazione di un prodotto di scarto – il fango rosso, appunto – inutilizzabile allo stato originario per i suoi alti livelli di salinità.

Di norma il sottoprodotto viene così smaltito in discarica con elevati costi ambientali e climatici legati al suo trasporto. La soluzione proposta dagli studiosi, ha precisato il leader del gruppo di ricerca Longbin Huang, interpellato da Mining.com, consiste nell’accelerare l’operazione di bioweathering microbico sul campo. Così da creare “un terreno di crescita funzionale, che sia compatibile con gli attributi ecologici delle specie e delle comunità vegetali native o esotiche”.

Vantaggi ambientali e finanziari

Il progetto, della durata di 8 anni e finanziato con 3 milioni di dollari dalle due aziende private coinvolte, si inserisce nel solco delle crescenti iniziative sviluppate nel settore dell’economia circolare. Un comparto promettente e di enorme rilevanza per il Paese, chiamato a fronteggiare noti problemi endemici. Come la debole fertilità del suolo e un basso livello di riciclo.

“Tra il 2018 e il 2019, l’Australia, che ospita alcuni dei terreni più aridi del mondo, ha generato 42,9 milioni di tonnellate di rifiuti organici” ha dichiarato di recente Gayle Sloan, amministratrice delegata della Waste Management and Resource Recovery Association of Australia. Le discariche, ha aggiunto, hanno accolto quasi 6,9 milioni di tonnellate di rifiuti potenzialmente recuperabili. La soluzione allo studio dei ricercatori, afferma ora Huang, “compensa la necessità di scavare e trasportare grandi volumi di risorse naturali del suolo da paesaggi non minerari, generando così un grande vantaggio finanziario e migliorando la qualità ambientale attesa”.

Con 110 milioni di tonnellate estratte nel 2020, l’Australia si è confermata leader mondiale nella produzione di bauxite. Fonte: U.S. Geological Survey

Una soluzione su scala mondiale?

Ad osservare con attenzione gli sviluppi della ricerca, però, non c’è solo l’Australia, primo produttore del minerale con oltre 100 milioni di tonnellate all’anno. Tre quarti delle riserve globali di bauxite, comprese tra 55 e 75 miliardi di tonnellate secondo le stime dello U.S. Geological Survey, infatti, si trovano fuori dall’Oceania. L’Africa ne detiene circa un terzo; il Sudamerica il 21%. In Asia si concentra il 18% del totale. L’attività mineraria, inoltre, è in espansione, trascinata dalla crescita della domanda di alluminio, soddisfatta per metà dalla sola produzione cinese.

“Il mercato globale della bauxite dovrebbe registrare un tasso composto di crescita annuale del 3% tra il 2021 e il 2026“, sottolinea la società di analisi irlandese Research and Markets. “La crescente diffusione dei veicoli elettrici potrebbe dare un’ulteriore spinta alla domanda di leghe di alluminio“. Inevitabile, di conseguenza, che l’aumento dell’attività estrattiva costituisca anche una spinta per la ricerca di nuove soluzioni circolari.

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